“I testi sacri delle tre religioni monoteistiche possiamo considerarli come il grande libro educativo dell’umanità. Infatti, sono testi che creano un linguaggio comunicativo, narrativo e poetico”. Lo ha detto don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della Cei, intervenuto alla conferenza “Ebraismo Cristianesimo e Islam: processi educativi a confronto”, che si è svolta oggi a Roma. A suo avviso, “non c’è vera lettura dei testi sacri che non cambino in qualche modo il cuore e la mente”, ha aggiunto il direttore dell’Ufficio Cei. Ne è segno “un qualche passo nel superamento di sé”. Il riferimento è alla “conversione morale che riconosce il primato del bene”, alla “gratuità con cui il bene va fatto per sé stesso”, cioè “l’andare oltre ogni calcolo o tornaconto o interesse proprio nel definire il valore autentico”. Una conversione che permette di liberarsi da “ciò che è inautentico”, dalle “soddisfazioni dannose, pericolose e fuorvianti”, dalla “paura del disagio, della sofferenza, della privazione”. Inoltre, “si colgono valori là dove prima non erano avvertiti, le scale di preferenza cambiano”. Nelle parole di don Savina l’importanza di “ridare all’Europa e al Mediterraneo quei testi sacri che sono stati e possono esserlo anche ora fondamento e principio di una nuova civiltà, quella che siamo chiamati responsabilmente a costruire”.
“L’Europa è urgentemente, necessariamente e inevitabilmente chiamata, in questo contesto contemporaneo di post-modernità, a riscoprire e riconoscere, nelle sue radici, le civiltà religiose che in passato hanno abitato e formato la sua identità”. Lo ha detto don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei, intervenuto alla conferenza “Ebraismo Cristianesimo e Islam: processi educativi a confronto”, che si è svolta oggi a Roma. Un riconoscimento che, secondo il direttore dell’Ufficio della Cei, deve avvenire “come veri e propri modelli storico-culturali da attivare nei contesti di apprendimento primario e secondario, senza i quali vi è un vero e proprio collasso identitario”. La via indicata da don Savina è quella di “abitare le relazioni con l’ascolto, il dialogo dialogico, l’accoglienza dell’alterità come condizione essenziale per riconoscere la propria identità”, ciò vuol dire “dare credito a una voce altra”. “Una dimensione diversa da quella razionale e anche da quella sociale, delle convenzioni e usanze del proprio gruppo di riferimento. Questo piano, quello dell’alterità, per tante ragioni è stato disimparato a frequentare”.