Nel corso del viaggio, che “appartiene alle ‘sorprese’ di Dio”, il Pontefice e il Grande Imam di Al-Azhar hanno firmato ad Abu Dhabi il Documento sulla Fratellanza Umana, nel quale è riaffermata “la comune vocazione di tutti gli uomini e le donne ad essere fratelli in quanto figli e figlie di Dio”, ed è condannata “ogni forma di violenza, specialmente quella rivestita di motivazioni religiose”.
In un’epoca come la nostra, in cui è forte la tentazione di vedere in atto uno scontro tra le civiltà cristiana e quella islamica, e anche di considerare le religioni come fonti di conflitto, abbiamo voluto dare un ulteriore segno, chiaro e deciso, che invece è possibile incontrarsi, è possibile rispettarsi e dialogare, e che, pur nella diversità delle culture e delle tradizioni, il mondo cristiano e quello islamico apprezzano e tutelano valori comuni: la vita, la famiglia, il senso religioso, l’onore per gli anziani, l’educazione dei giovani, e altri ancora.
Un Documento “storico” di “grande ispirazione e concretezza”. Un testo di riferimento che definisce principi di libertà e diritti. Una Dichiarazione dal “peso enorme” perché toglie ogni possibilità futura di altre interpretazioni e ambiguità. E’ il “Documento sulla fratellanza umana” che Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Muhammad Ahmad al-Tayyib, hanno firmato insieme. Un impegno solenne che i due leader religiosi hanno sottoscritto al termine della “Global Conference of Human Fraternity”, che dal 3 al 5 febbraio ha riunito 700 capi religiosi di tutto il mondo. Nel ribadire l’importanza del ruolo delle religioni nella costruzione della pace mondiale, il Documento affronta punto per punto i nodi nevralgici della convivenza pacifica e del dialogo tra le religioni. Temi chiave, che per secoli hanno provocato sofferenze e ingiustizie, come la libertà di credo; la protezione dei luoghi di culto (templi, chiese e moschee); la condanna del terrorismo; il concetto di “piena cittadinanza” e la rinuncia all’uso discriminatorio del termine minoranze; i diritti delle donne.
Promuovere una vera cultura dell’incontro
Il viaggio apostolico, il primo di un pontefice nella penisola arabica, ha avuto luogo a 800 anni dalla visita di san Francesco al sultano al-Malik al-Kamil. Papa Francesco confida che nella tre giorni spesso ha pensato al Poverello di Assisi. “Mi aiutava a tenere nel cuore il Vangelo – precisa – l’amore di Gesù Cristo, mentre vivevo i vari momenti della visita; nel mio cuore c’era il Vangelo di Cristo, la preghiera al Padre per tutti i suoi figli”, la preghiera perché “il dialogo tra il Cristianesimo e l’Islam sia fattore decisivo per la pace nel mondo”. Il Pontefice ringrazia tutti per l’accoglienza ricevuta, intrisa di “grande cortesia”, e ricorda le tappe fondamentali del viaggio: i colloqui privati con il Principe Ereditario e con il Consiglio Musulmano degli Anziani; l’incontro interreligioso presso il Memoriale del Fondatore degli Emirati Arabi Uniti, lo Sceicco Zayed bin Sultan Al Nahyan.
Questo documento sarà studiato nelle scuole e nelle università di parecchi Paesi. Ma anche io mi raccomando che voi lo leggiate, lo conosciate, perché dà tante spinte per andare avanti nel dialogo sulla fratellanza umana.
Il gregge dei cristiani negli Emirati Arabi Uniti
Papa Bergoglio ricorda anche l’intenso abbraccio con il milione di cristiani presente negli Emirati Arabi Uniti, “lavoratori originari di vari Paesi dell’Asia”: l’appuntamento nella cattedrale di san Giuseppe ad Abu Dhabi e la messa nello stadio della città, durante la quale si è pregato con “speciale intenzione al Medio Oriente e allo Yemen”.
Ho avuto l’opportunità di salutare il primo sacerdote che era andato, che ancora è vivo – novantenne – fondatore di tante comunità lì. É sulla sedia a rotelle, cieco, ma il sorriso non cade dalle sue labbra, il sorriso di aver servito il Signore e di aver fatto tanto bene. Anche, ho salutato un altro novantenne – ma questo camminava e continua a lavorare. Bravo! – e tanti sacerdoti che sono lì al servizio delle comunità cristiane di rito latino, di rito siro-malabarese, siro-malankarese, di rito maronita che vengono dal Libano, dall’India, dalle Filippine e da altri Paesi.